“Pronto? Tiziana, ti chiamo perché vorrei condividere con te la gioia che ho provato. Oggi con G. ho fatto poesia!”.

Esordisce così Sabrina al telefono, emozionata e con tanto desiderio di condividere l’esperienza appena vissuta con la sua paziente G, afasica, bloccata da un ictus non solo nel corpo ma anche nella parola. L’utilizzo del linguaggio nonsenso Gibberish sta aiutando G. a uscire dal silenzio.

Poi ci sono le esperienze con i suoi bambini.

Sabrina Ceravolo è logopedista e lavora presso la Fondazione Don Carlo Gnocchi a Torino e segue alcun pazienti anche privatamente. Segue principalmente bambini in età evolutiva, ma anche adulti con problemi di afasia e disfonia.

Ha preso parte al progetto per esplorare le potenzialità dello yoga della risata nella riabilitazione in logopedia. Un percorso nel quale ho mostrato ai professionisti le basi della pratica invitandoli poi a sperimentare (qui puoi leggere di cosa si tratta).

Il racconto di Sabrina

Ho aderito al laboratorio di yoga della risata per curiosità. – racconta Sabrina – Mi piace conoscere nuovi metodi soprattutto quelli che si possono adattare al mio lavoro senza doverli seguire con uno schema rigido.

Il giorno dopo il primo incontro l’ho messo in pratica senza pensarci troppo utilizzando alcuni esercizi in funzione delle diverse situazioni e dei pazienti.

Liberare le parole intrappolate da afasia espressiva

G. soffre di afasia espressiva e altre invalidità in seguito a ictus.

Il suo corpo è intrappolato e in più parti bloccato. Le sue parole sono bloccate.

Avevo iniziato a seguire G. online, già prima del lockdown, perché abitiamo distanti. Per questo la pandemia non ha interrotto o modificato il nostro modo di fare riabilitazione, che per lei rappresenta un momento di luce nella sua settimana scandita da “immobilità”.

Il suo corpo è intrappolato e in più parti bloccato; anche le sue parole sono bloccate, perché l’afasia compromette la capacità di parlare, di scrivere e di leggere.

L’afasia però non blocca la sua intelligenza e le sue emozioni. G. mostra la sua tristezza per una vita che sente buia, la sua rabbia di non riuscire a esprimere le parole che le affollano la mente e di usarle con il significato appropriato. Ma G. mostra anche la sua gioia per il tempo che trascorriamo insieme.

Con lei ho provato la pratica del Gibberish, il linguaggio non senso. Il mio parlare un linguaggio senza senso, con parole e suoni liberi ha creato una condizione alla pari con G, sciogliendola dal giudizio o dal timore di non riuscire a dire parole o frasi di senso compiuto. 

Ricordo che la prima volta in cui ho usato il Gibberish, G. ha iniziato a pronunciare parole “a raffica” senza senso, senza pause, come un vulcano in eruzione.

Sbalordita di quello che stava accadendo, ho preso un foglio e ho iniziato a scrivere le parole, in modo spontaneo, senza preoccuparmi di dare ordine o senso.

Dopo quella prima volta ho proposto a G. di provare a usare questo linguaggio quotidianamente e, nelle sedute, abbiamo anche provato a cantare insieme, usando melodie che lei conosce ma con testi “ovviamente inventati”.

Mi accorgo che il Gibberish aiuta a liberare la mente di G. dalle parole che altrimenti vi rimangono imprigionate, creando interferenza con il suo tentativo di eloquio.

In qualche modo, il linguaggio nonsense sembra ridare un significato a quelle parole a cui lei non riesce a dare significato o a utilizzare in modo compiuto. Il gibberish la fa sentire capace, le rende possibile quello che prima la bloccava. Inoltre la risata è diventato un rituale che la alleggerisce dal peso di non riuscire a dire cose.

A distanza di 4 mesi, ho colto il suggerimento di Tiziana di provare a essere il io, per G, il “collettore delle parole”. Durante la seduta ho pertanto scritto le parole che libere e senza senso lei pronunciava. A queste poi ho aggiunto qualche articolo o verbo. Magicamente le parole hanno acquisito un senso, un suono che G ha riconosciuto regalandoci un’emozione molto forte.

Trascrizione delle parole “singole” pronunciate da G. durante un momento “nonsense” (una pratica dello yoga della risata).
In nero le parole aggiunte successivamente da Sabrina e approvate da G che ne ha riconosciuto un senso.

 

E’ solo un’esperienza, sulla quale c’è ancora da lavorare.

Nel frattempo sto pensando di creare una raccolta di queste trascrizioni a cui proveremo a dare senso e poesia. Sarebbe bello crearne un piccolo libro, completato anche da un linguaggio fatto di disegni….chissà.

Concludendo, lo yoga della risata o meglio gli esercizi e le pratiche che ne fanno parte non sono un protocollo, non solo la soluzione. Penso, piuttosto che forniscano stimoli che vanno a completare le tante tecniche che un logopedista deve “maneggiare” per gestire i suoi pazienti, suggerendo nuovi punti di vista.

Prima di chiudere una mia riflessione

Il racconto di Sabrina mi dà l’opportunità di esprimere due importanti insegnamenti che sto ricevendo dallo yoga della risata: la condivisione e la trasformazione.

La risata risveglia la gioia (che io chiamo #gioiacristallina) e con questa la voglia e il piacere di condividere le esperienze con gli altri. Io e Sabrina non ci siamo mai incontrate fisicamente; ci siamo frequentate online per il laboratorio che ho organizzato eppure, penso che sia qualcosa di incredibile il fatto che lei abbia preso il suo telefono per chiamarmi e condividere la sua gioia, quella di un terapista che si emoziona di un piccolo successo del suo paziente.

Poi c’è la trasformazione, ovvero la possibilità di cambiare punto di vista: parole senza senso che si liberano del giudizio e anzi proprio al non senso si liberano.